
Dopo ripetuti studi e valutazione sulla localizzazione, serve passare dalle parole ai fatti realizzando un deposito nazionale per i rifiuti nucleari, che non sono solo quelli relativi alle centrali dismesse, ma soprattutto alla produzione periodica legata alla sanita e ai cicli industriali che generano volumi rilevanti di scarti a bassa e media radioattività che vanno comunque gestiti superando l’attuale parcellizzazione negli oltre 100 siti.
Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, è intervenuto in audizione alla Commissione ambiente della Camera per illustrare il percorso che potrebbe portare nel 2039, tra 14 anni, a uno o più depositi di rifiuti radioattivi in luoghi ancora da definire. Un tema «non più rinviabile» il cui quadro normativo sarà aggiornato alla legge delega sul nucleare attesa a breve in Parlamento dopo il parere della Conferenza unificata.
Opposizioni e attivisti sono rimasti scettici: «il governo Meloni vuole riaprire le centrali nucleari, ma non riesce nemmeno a gestire la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi presenti» realizzando un deposito nazionale per i rifiuti nucleari, hanno detto i deputati Dem guidati da Chiara Braga. Pichetto Fratin ha spiegato di essere in attesa della Valutazione ambientale strategica per approvare la Carta nazionale delle aree idonee, aggiornata rispetto alla proposta di dicembre 2023, che indicava 51 possibili siti, in particolare nel Lazio (21), in Basilicata (10 più due al confine con la Puglia) e in Sardegna (otto).
Poi sono previsti «una pluralità di passaggi e confronti con le realtà territoriali». Senza un’intesa, deciderà il Consiglio dei ministri, integrato dal presidente della Regione interessata. «Orientativamente si ritiene che si possa prevedere per il 2029 il rilascio del provvedimento di autorizzazione unica e per il 2039 la messa in esercizio del deposito nazionale», ha detto il ministro che ha voluto fare chiarezza su un punto: «sembra quasi che, in assenza del deposito nazionale, questi rifiuti non esistano sul territorio. E invece, sono presenti, diffusi, e vanno gestiti in totale sicurezza».
Il ministro ha spiegato dove sono oggi i rifiuti radioattivi: dalle quattro ex centrali nucleari ai centri di ricerca fino a oltre 100 mini-siti dove sono stoccati quelli a bassissima intensità, come i rifiuti sanitari negli ospedali. Complessivamente, costituiscono un totale di oltre 32.000 metri cubi a fine 2023, l’equivalente di più di dieci piscine olimpioniche. Sono soprattutto nel Lazio, dove è presente quasi un terzo dei rifiuti, in Lombardia e in Piemonte. Il Piemonte è anche la regione con più quantità totale di radioattività.
Il 99% del combustibile nucleare irraggiato delle centrali nazionali dismesse è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna per essere riprocessato ed è previsto che dopo torni in Italia. Pichetto Fratin ha riferito di stare rinegoziando gli accordi con la Francia per regolare la possibilità che i rifiuti trattati siano usati come combustibile negli impianti nucleari di quarta generazione. Altri confronti informali sarebbero in corso a livello europeo per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a media e alta attività e il combustibile irraggiato in un deposito geologico «internazionale come opzione preferita o, in alternativa, sul territorio nazionale», ha detto Pichetto, che ha prospettato l’avvio di studi ed esami preliminari dal 2050.
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