Il contributo alla lotta all’evasione/elusione fiscale da parte dei comuni italiani è stato di soli 6 milioni di euro. Stante la legge in vigore, alle amministrazioni locali che hanno segnalato all’Agenzia delle Entrate situazioni di infedeltà fiscale riguardanti l’Irpef, l’Ires, l’Iva, le imposte di registro/ipotecarie e catastali viene riconosciuto un importo economico del 50% di quanto accertato. Pertanto, queste 296 amministrazioni hanno potuto incrementare le entrate comunali di 3 milioni di euro. Una cifra, quella riconosciuta per il 2023, “insignificante”, visto che l’evasione fiscale è stimata in quasi 93 miliardi di euro all’anno. Dati, questi ultimi che, all’interno della CGIA, hanno sollevato una riflessione.
Se a parole tutti si proclamano giustamente scandalizzati e pronti alla lotta all’evasione/elusione fiscale, nei fatti le cose stanno diversamente. Anche coloro che potrebbero intervenire per combatterla, persino “guadagnandoci” economicamente, fanno finta di non vederla o, peggio ancora, visto che riguarda dei pubblici ufficiali, si girano dall’altra parte. Come, ad esempio, la quasi totalità dei sindaci e degli amministratori comunali presenti nel Paese. Purtroppo, anche gli ultimi dati riferiti al 2023, confermano questa tesi. A fronte di 7.900 comuni presenti in Italia, solo 296 (pari al 3,7% del totale) hanno trasmesso in materia di evasione delle “segnalazioni qualificate” agli uomini del fisco.
Nel 2023 il comune italiano che ha incassato di più dalla lotta all’evasione/elusione fiscale è stato Milano con 397.991 euro. Seguono Genova con 381.871, Prato con 184.579 e Lodi con 157.435 euro. Nelle prime 10 posizioni a livello nazionale spiccano i risultati ottenuti dall’amministrazione comunale di Cernusco del Naviglio (Mi) con 75.880 euro e di Segrate (Mi) con 67.443.
Vista la dimensione dell’evasione, del lavoro nero e dell’abusivismo edilizio presenti soprattutto nel Mezzogiorno, appaiono quanto meno “singolari” i risultati ottenuti dal comune di Bari che ha riscosso 1.776 euro, Palermo 1.373, Napoli 773 e Agrigento 267. I comuni di Catania, Caserta, Foggia e Trapani, invece, non hanno incassato alcunché, lasciando presagire che non abbiano inviato nessuna “segnalazione qualificata” all’Agenzia delle Entrate
La CGIA sottolinea che le segnalazioni fatte dalle amministrazioni comunali al fisco devono essere puntuali, circostanziate e contenere i dati identificativi del soggetto a cui sono contestati gli ipotetici comportamenti evasivi ed elusivi. Non è sufficiente, quindi, indicare un potenziale evasore esibendo motivazioni generiche. Inoltre, per redigere l’istruttoria che verrà poi inviata all’Agenzia delle Entrate è necessario che i comuni dispongano di personale formato e qualificato a svolgere questa attività “investigativa”. Abilità, queste ultime, che un dipendente comunale le acquisisce solo attraverso la partecipazione a un’attività formativa mirata e continuativa che dovrebbe essere tenuta proprio dall’amministrazione finanziaria. Insomma, con piante organiche ridotte all’osso e, spesso, del tutto impreparate ad affrontare queste tematiche, per molti sindaci ricorrere a questa misura è molto difficile.
Se, invece, le competenze sono disponibili, in massima parte vengono utilizzate per “recuperare” l’evasione dei tributi locali in capo ai comuni; come l’Imu, la Tari, la Tosap, l’imposta sulla pubblicità e quella di soggiorno che non rientrano nella fattispecie analizzata in questo approfondimento. Tuttavia, non va nemmeno trascurata l’ipotesi seguente: per molti sindaci scatenare una “campagna” contro gli evasori e/o gli abusivi potrebbe essere addirittura controproducente. In molte aree del Paese, infatti, il consenso politico a livello locale si “acquisisce” e si “consolida” anche “ignorando” questi reati; “consentendo”, ad esempio, a chi non ha una casa di costruirsene una abusivamente o a chi non ha un’occupazione stabile di “sopravvivere”, esercitando un’attività lavorativa irregolare.
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