La discesa del differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi sotto i 100 punti base potrà garantire all’Italia risparmi sugli interessi del debito pubblico fino a 5 miliardi di euro già nel 2025 e oltre 7-8 miliardi nel 2026 sul fronte degli interessi passivi, pari a un “tesoretto” totale fino a 13 miliardi: lo stima il Centro studi di Unimpresa, basandosi sulle condizioni attuali dei mercati e sul volume annuo di collocamenti del Tesoro, pari a circa 500 miliardi di euro.
Dopo i picchi registrati tra il 2022 e il 2023, con differenziali sopra i 200 punti base e rendimenti del Btp decennale oltre il 5%, la progressiva compressione del differenziale ha riportato i tassi in area 3,6-3,7%, generando un effetto positivo sulla spesa per interessi sul debito pubblico italiano.
La stabilizzazione del differenziale su livelli contenuti potrebbe portare il costo medio del debito Italia dal 3,3% verso il 3%, liberando risorse utili per ridurre il rapporto debito/PIL o sostenere la crescita del Paese, tornata a livelli asfittici. Con un differenziale ridotto a circa 90‑100 punti base — cioè un rendimento medio sul decennale italiano intorno al 3,6‑3,7% rispetto a circa 2,6‑2,7% del Bund — ogni 1 punto base in meno implica un risparmio di circa 23–24 milioni di euro annui sul nuovo ammontare emesso.

Una contrazione di 80‑100 punti base rispetto ai picchi del 2022‑2023 genera un risparmio annuo sul debito pubblico nell’ordine di 4,5‑5 miliardi di euro già nel 2025. Nel 2026, gran parte dello stock di debito in scadenza — emesso in anni di elevato costo finanziario — verrà rifinanziato a condizioni migliori. Se il differenziale restasse stabile a livelli contenuti, il risparmio potrebbe superare i 7‑8 miliardi di euro, grazie alla maggiore quota di debito rinnovata e all’effetto cumulativo della riduzione del costo medio del debito.
«Ci sono risorse importanti a cui attingere per poter investire sulla crescita economica, finanziare l’abbassamento delle tasse per famiglie e imprese, dare risorse a chi è in difficoltà. Tuttavia, la discesa dello spread, per quanto confortante, non equivale automaticamente a un abbassamento del rischio-Paese – commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi -. La compressione è dovuta larga parte a fattori esterni, come la maggiore offerta di Bund sul mercato e la funzione rassicurante della BCE. L’Italia sta gestendo bene le finanze pubbliche e questo è un merito del governo guidato da Giorgia Meloni. Il Paese, però, resta esposto ai vincoli strutturali di un debito molto elevato, di una crescita potenziale limitata e della necessità di mantenere disciplina di bilancio. Il segnale positivo dello spread sotto i 100 punti base va quindi letto con prudenza: rappresenta un’opportunità, non una garanzia a tempo indeterminato».
Il Tesoro, tra aste ordinarie e rinnovi, colloca ogni anno circa 450-500 miliardi di titoli di Stato. Se si considera che nei momenti di tensione del 2022 e del 2023 lo spread oscillava stabilmente tra i 200 e i 250 punti base, con i rendimenti del decennale italiano in area 4,5–5%, mentre oggi si attesta in prossimità dei 3,6–3,7%, la compressione dei tassi nell’arco di due anni produce un differenziale significativo.
A favorire questa discesa non è stata soltanto la fiducia degli investitori verso i titoli italiani, ma anche il rialzo dei rendimenti tedeschi, legato all’aumento dell’offerta di Bund da parte di Berlino per finanziare i maggiori impegni di spesa in materia di difesa e infrastrutture. Il Bund meno “scarso” e più abbondante ha reso meno schiacciante il confronto con i titoli italiani. Nel 2025 la tendenza si è consolidata: a marzo lo spread è sceso per la prima volta sotto i 100 punti base dall’estate 2021. Poi, a fine giugno, il differenziale ha toccato quota 90 punti base, il livello più basso dal 2010. Ad agosto i numeri si sono confermati su questa soglia: i rendimenti del decennale italiano si collocano attorno al 3,62%, quelli del Bund al 2,72%, con un differenziale di circa 85-90 punti base.
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