Capasa: «l’applicazione dei dazi sarebbe una dichiarazione ostile».
Dopo aver chiuso il 2024 con un calo secco del fatturato del 5,3%, a quota 95,9 miliardi di euro, la moda italiana guarda con un timido ottimismo al 2025. Un anno che potrebbe essere di “tenuta”, ma esposto ai rischi dell’arrivo dei dazi Usa della nuova amministrazione Trump su abiti e scarpe “Made in Italy”.
Il presidente della Camera nazionale della moda italiana, Carlo Capasa, è decisamente preoccupato: «i dazi preoccupano sempre tutti, ma speriamo che non vengano applicati alla moda», evidenziando come in passato i dazi non siano stati applicati alla moda italiana e che dal Governo sia arrivato il messaggio che “ci sono interlocuzioni in corso”. La speranza quindi è che il settore, già funestato da un anno difficile, non debba affrontare una nuova tegola.
La moda italiana, ha ricordato Capasa, «è la seconda industria italiana. Se Trump penalizza la seconda industria italiana è quasi una dichiarazione ostile. Io mi aspetto che non ci sia un attacco così ostile alla nostra seconda industria, perciò sono fiducioso». Se poi ci saranno i dazi, «capiremo come comportarci di conseguenza».
I numeri dell’ultimo trimestre del 2024 permettevano di fare qualche previsione ottimista, con l’attenuazione dei cali registrati durante l’anno. Il fatturato è sì calato del 4.2% rispetto all’ultimo trimestre del 2023, ma la contrazione è stata inferiore rispetto al resto dell’anno. Restano sempre in sofferenza i settori trainanti della moda italiana (abbigliamento, pelle, pelletteria e calzature). A salvare le sorti del “Made in Italy” sono invece sempre più i settori “collegati” (bellezza, occhiali, gioielli e bigiotteria), gli unici capaci di tenere in terreno positivo le esportazioni (+2,6% nei primi dieci mesi 2024) con il loro aumento di export del 21,8%, contro il grande freddo delle esportazioni dei settori “core” (-4.2%).
Il raffreddamento generale dei fatturati, nonostante l’aumento dei prezzi, ha gelato aziende e lavoro, evidenzia Capasa: «ci sono state meno vendite, e quindi nella parte bassa della filiera c’è una crisi per mancanza di pezzi prodotti». Non a caso il settore chiede da mesi al Governo misure per aiutare le piccole aziende terziste, spina dorsale del “Made in Italy”, spesso compresse da condizioni di fornitura capestro imposte dai committenti, spazianti dal differimento delle imposte alla cassa integrazione. Tutto questo «per non fare chiudere nessuna azienda e non perdere personale» ha concluso Capasa, convinto che la crisi, «è passeggera».
Gli studi della Camera nazione del lavoro hanno messo nero su bianco uno scenario che potrebbe evolvere in positivo: la stabilizzazione di fine anno e il miglior quadro macroeconomico internazionale possano far sperare in un ritorno alla crescita dei fatturati nel 2025. Ma su questo ottimismo pesa «il fattore di grande incertezza del futuro delle politiche commerciali americane introdotto dalla nuova amministrazione americana». Perché gli Usa sono pur sempre il terzo mercato per le esportazioni della moda italiana, con un interscambio commerciale da gennaio a ottobre 2024 di ben 4, 5 miliardi per la moda, 3,1 miliardi per i settori collegati.
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