Auto aziendali: il “milleproroghe” sanerà l’errore marchiano sui fringe benefit

Un dipendente con in uso un’utilitaria a gasolio o benzina finisce con il pagare il doppio di un titolare di una costosa ammiraglia elettrica o ibrida.

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La manina che ha rivisto nottetempo i criteri dei fringe benefit sulle auto aziendali, agevolando gli utilizzatori di auto esclusivamente elettriche o ibride a danno di coloro che hanno in uso un modello a benzina o a gasolio ha fatto un errore marchiano che dovrà essere sanato nel decretomilleproroghe” in corso di discussione.

L’aver ridotto al 10% la percentuale del valore del fringe benefit per le auto elettriche e al 20% per le ibride dal 30% solitamente usato, alzando al contempo dal 30 al 50% il valore di riferimento per gli utilizzatori di auto a benzina o diesel per tutti i veicoli assegnati a far data dal 1 gennaio 2025 ha causato il rinculo dei contratti di noleggio stipulati dalle aziende, tanto che la stessa associazione dei noleggiatori Aniasa parla di una riduzione dei nuovi contratti di almeno il 30%, sostituiti dal prolungamento di quelli già in essere, con effetto anche sulle casse degli enti locali che dalle mancate nuove immatricolazioni vanno a perdere circa una trentina di milioni di gettito derivante dall’Ipt, l’imposta provinciale di trascrizione dei veicoli, un valore è circa doppio di quanto lo Stato prevedeva in termini di maggior gettito dalla “stretta” sui fringe benefit delle auto aziendali.

Non solo: la manina autrice del provvedimento ha causato anche una forte sperequazione in capo agli utilizzatori di auto aziendali, perché coloro che fossero assegnatari di un’utilitaria a benzina o diesel sarebbero stati decisamente più penalizzati di uno con un veicolo elettrico o ibrido di costo ben maggiore. L’esempio che circola è quello di un assegnatario di una Panda a benzina 1.0 da 69 Cv e dal costo di circa 15.000 euro per il quale il valore di riferimento è aumentato dal 30 al 50% della percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri il cui costo chilometrico, per il 2025, è di 0,3891 euro, si ottiene un valore del fringe benefit annuo pari a 2.918,25 euro.

Altra musica per l’assegnatario di una lussuosa Porsche Taycan, auto sportiva elettrica da oltre 100.000 euro di costo, che nonostante abbia un costo chilometrico decisamente più alto della Panda, 0,9286 euro, la vettura gode di uno sconto dal 30 al 10% della tariffa di riferimento Aci, tale da portare il valore del fringe benefit imponibile a 1.392,9 euro, ovvero meno della metà del benefit gravante sulla city car che costa circa un decimo della sportiva di lusso.

Non solo: la revisione delle aliquote pesa non poco anche sulle tasche degli assegnatari, perché un utilizzatore di un’Alfa Romeo Giulia 2.2 TD 160 CV, il cui costo chilometrico è di 0,6796 euro con il passaggio dell’aliquota di riferimento dal 30 al 50% della tariffa Aci comporta un aumento del valore del fringe benefit annuo da 3.077,55 euro a 5.097,00 euro, pari ad un aumento del 65% del valore corrispondente ad un incremento di oltre 2.000 di imponibile che si traduce in una maggiore tassazione di 90 euro al mese nella busta paga e di 50 euro al mese di oneri previdenziali in capo all’azienda, per un incremento complessivo di 1.600 euro di aggravio annuo. Davvero non male per il governo Meloni che dell’abbassamento delle imposte specie per i lavoratori con redditi fino a 40.000 euro ha fatto una priorità, ma spesso non nei fatti.

Il governo Meloni accortosi dello scivolone pare intenzionato a fare decorrere le nuove regole sui fringe benefit delle auto aziendali dal 1° gennaio al 1° luglio 2025, anche per venire incontro a coloro che avevano ordinato un veicolo prima dell’entrata in vigore del provvedimento. Ma più di attuare l’ennesima proroga all’italiana, il governo Meloni farebbe bene a fare totale retromarcia e tornare all’applicazione indistinta per tutte le categorie di veicoli dell’aliquota al 30% del finge benefit, senza penalizzazioni di sorta per chi non sceglieobbligatoriamente” l’elettrico. Anche alla luce del fatto che lo stesso governo Meloni parla ogni due per tre di neutralità tecnologica in fatto di regolamenti europei automotive. Una volta tanto, varrebbe la pena di fare seguire i fatti alle parole, salvo che quest’ultime contino ancora qualcosa e non siano solo parole gettate al vento, come nel caso delle promesse elettorali della riduzione delle accise sui carburanti, prontamente riviste al rialzo.

 

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