Fondi di coesione più utilizzati al Nord, mentre il Sud più lento nonostante i maggiori fondi

Indagine del Servizio studi della Camera sulla programmazione 2021-2027 sul complesso dei fondi che valgono 150 milioni.

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Fondi di coesione Fondi strutturali europei

L’Italia fa una fatica boia – specie nei territori del Mezzogiorno – a spendere tutti i fondi pubblici disponibili, che siano i 195 miliardi del Pnrr o i 153 miliardi dei Fondi di coesione: il risultato è sempre identico, con un paese che viaggia a due velocità, con le regioni del Nord che sono più rapide ed efficienti nella programmazione e attuazione della spesa, specie quella periodica dei Fondi di coesione rispetto a quella straordinaria del Pnrr.

Se l’attenzione dell’opinione pubblica sul Pnrr è sempre accesa, con rilievi quasi sistematici riguardo al livello della spesa (considerato da più parti non soddisfacente rispetto agli obiettivi al 2026 visto che a 15 mesi dal termine i 195 miliardi destinati all’Italia sono stati effettivamente spesi per meno della metà), sui Fondi di coesione l’interesse è meno pressante, nonostante le risorse impegnate e quelle spese siano in percentuale anche più basse.

A fare il punto è il Servizio studi della Camera, in un rapporto dettagliato su tutti i fondi a disposizione e sul loro impiego fino ad ora. I tre principali fondi strutturali europei (Fondo europeo di sviluppo regionale Fesr, Fondo sociale europeo Plus Fse+ e Fondo per la transizione giusta Jtf)) ammontano in tutto a circa 74 miliardi, a cui si sommano oltre 78 miliardi di fondi di sviluppo e coesione nazionali.

In base ai dati del monitoraggio Mef aggiornati al 28 febbraio 2025, il Fesr evidenzia impegni finanziari per 13,5 miliardi, pari al 18%, e pagamenti per 3,8 miliardi, ovvero il 5% (3,7 miliardi, ovvero 4,95% in base alla metodologia Ue). Il Fse+, rispetto al totale delle risorse programmate con gli accordi con le varie Regioni pari a 20,7 miliardi, risulta uno stato di avanzamento degli impegni del 12,4% (2,56 miliardi) e del 4,0% in termini di pagamenti (829,6 milioni). Con due precisazioni da fare. Nel caso dei fondi europei i tempi reali a disposizione sono stati infatti più brevi di quelli formalmente previsti: le attività di programmazione delle risorse sono state avviate nel 2019, ma l’accordo di partenariato 2021-2027 è stato approvato dalla Commissione Ue a luglio 2022 e i programmi nazionali e regionali nel corso del 2022-2023. Per gli Fsc nazionali va invece considerato che gli accordi con Campania e Sardegna sono stati siglati dopo il 28 febbraio e non rientrano quindi nei dati complessivi del monitoraggio.

Dalle tabelle dello studio emerge infine che, a dispetto degli obiettivi di fondo, sono le regioni più sviluppate (sostanzialmente del Nord) quelle che riescono ad utilizzare meglio le risorse strutturali europee, mentre quelle meno sviluppate, quelle del Mezzogiorno dove gli stanziamenti dovrebbero essere più necessari, sfruttano le disponibilità con meno efficacia.

Guardando a Fesr e Fse+, che più degli altri attuano la politica di sviluppo regionale, rispetto al 18,2% dello stato di avanzamento degli impegni a livello nazionale, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Alto Adige, Trentino, Toscana, Veneto e Valle d’Aosta viaggiano a ritmi del 18,6% sui programmi nazionali e il 32,9% di quelli regionali, con una forte spinta dunque a livello locale. Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia hanno invece impegnato il 16,2% delle risorse nei programmi nazionali e molto meno, l’8,3%, di quelle regionali.

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