Tanto le imprese tuonarono contro le nuove norme sul “greenwashing” contenute nella bozza della nuova direttiva “Green claims” che il Ppe ha imposto a Ursula von der Leyen una netta manovra a “U” con il ritiro della proposta, con soddisfazione di Ppe, Conservatori, Patrioti e Sovranisti e gran scorno di Socialisti e Verdi, teoricamente partner del Ppe nella maggioranza che ha nominato la Commissione europea “Ursula 2”.
Di fatto, sul “Green deal” impostato dall’ex vicepresidente socialista Frans Timmermans continua l’opera di demolizione, nonostante che a sua protezione sia stato messo un altro falco oltranzista come il commissario socialista spagnolo, Teresa Ribera. Dopo la vasta operazione di sburocratizzazione degli ultimi mesi e il rinvio di alcune misure chiave dell’agenda ambientale europea, la Commissione ha annunciato a sorpresa il ritiro della proposta di direttiva contro le dichiarazioni ambientali ingannevoli, o “green claims”, finita pochi giorni fa nel mirino di Ppe, Conservatori e Patrioti.
La retromarcia nella lotta al “greenwashing” – con l’iniziativa giunta alle fasi finali del negoziato interistituzionale – ha creato imbarazzo a Palazzo Berlaymont, tanto che fonti interne hanno precisato che si tratta di «un’ipotesi ancora al vaglio», mentre Ursula lo ha già gettato nel cestino.
La proposta di direttiva – presentata nel marzo 2023 – puntava a tutelare i consumatori dalle false dichiarazioni ambientali e dal “greenwashing” e introducendo criteri comuni per le aziende, imponendo che le comunicazioni “verdi” siano basate su prove scientifiche verificate e sottoposte a controlli da parte di enti terzi prima della diffusione sul mercato lungo tutta la filiera produttiva del bene o del servizio.
Ufficialmente, la Commissione motiva il dietrofront con il timore che l’accordo finale ne snaturi gli obiettivi originari, imponendo oneri eccessivi soprattutto alle Pmi e a circa 30 milioni di microimprese che potrebbero esserne coinvolte che hanno fatto sentire la loro voce a Bruxelles grazie agli esponenti di Ppe, Conservatori e Patrioti. Nei giorni scorsi, il Ppe aveva chiesto al commissario Ue per l’Ambiente, Jessika Roswall, di «riconsiderare e, in ultima analisi, ritirare» il testo. La reazione non si è fatta attendere: i macroniani di Renew, Socialisti e Verdi hanno accusato Bruxelles di cedere alla destra. «E’ inaccettabile che il Ppe, in tandem con l’estrema destra, stia tentando di affossare una normativa fondamentale per proteggere i cittadini europei dalle truffe ambientali delle imprese», ha attaccato il liberale italiano eletto in Francia, Sandro Gozi, relatore della direttiva per l’Eurocamera, accusando l’esecutivo von der Leyen di «tradire il suo mandato».
Sul fronte opposto, la soddisfazione è ampia. «Si smonta un altro pezzo del “Green deal” ideologico firmato Timmermans», ha sottolineato Fratelli d’Italia-Ecr per il tramite di Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, evidenziando la necessità di «norme ambientali equilibrate e realistiche». Dello stesso avviso anche Letizia Moratti (Fi-Ppe), secondo la quale l’iniziativa «avrebbe imposto obblighi sproporzionati alle imprese per giustificare ogni dichiarazione ambientale nei messaggi di marketing».
Ursula von der Leyen ha fiutato l’aria e dinnanzi al rischio di vedersi nuovamente bocciare una proposta normativa della sua Commissione certificando lo squagliamento della sua maggioranza di centro sinistra, ha preferito fare autonomamente marcia indietro sul “greenwashing“. In caso contrario, si sarebbe potuta consolidare l’ennesima maggioranza a perimetro variabile, con un Ppe, sempre più insofferente della sua ala sinistra moderata ed estrema, che avrebbe votato contro assieme ai componenti di Ecr (cui aderisce Fratelli d’Italia), dei Patrioti (ci sta la Lega Salvini) e pure dei Sovranisti (con dentro la temutissima Afd che ormai ne sondaggi in Germania ha raggiunto l’alleanza democristiana Csu-Cdu del cancelliere Merz), certificando nell’Europarlamento una maggioranza alternativa di 375 voti che avrebbe tagliato fuori l’ala sinistra e ambientalista della sua maggioranza Ursula 2.
Di fatto, in caso di approvazione della direttiva ormai ritirata questa avrebbe messo le mutande di ferro alla manifattura europea (e anche al settore dei servizi) anche grazie alle solite durissime sanzioni economiche, lasciando mano libera alle importazioni di beni provenienti da Oriente tenuti esenti da ogni certificazione e dichiarazione di sostenibilità ambientale.
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