Irpef, riforma insufficiente: l’aliquota al 43% su redditi medi favorisce evasione

L’Italia, nel confronto con la fiscalità Usa, mostra un’eccessiva compressione fiscale, tanto che la massima aliquota scatta a 50.000 euro in Italia contro il 37% Usa che scatta oltre i 750.000 dollari.

145
irpef percentuali

La riduzione a tre aliquote Irpef introdotta dalla legge 207 del 2024 non basta: la misura, pur semplificando formalmente il sistema, non alleggerisce realmente la pressione fiscale gravante su cittadini ed imprese. L’applicazione dell’aliquota massima del 43% già oltre i 50.000 euro di reddito è «un errore strutturale» che incentiva l’evasione e penalizza il ceto medio sostiene Unimpresa in un documento curato dal consigliere nazionale Marco Salustri, in cui si evidenzia il divario con sistemi più equi come quello degli Stati Uniti, dove la tassazione più alta (37%) si applica solo a redditi oltre i 750.000 dollari.

«In Italia – avverte Unimpresa – si continua a confondere la semplificazione con la compressione degli scaglioni. Serve una revisione vera, con più equità e coerenza rispetto alla reale capacità contributiva» si legge nel documento dell’associazione.

Secondo Unimpresa, la recente legge 207 del 2024 ha reso strutturale la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, fissandole al 23%, 35% e 43%. Questa mossa, che ha anche ampliato la “no tax area” e aumentato le detrazioni per i redditi più bassi, mira a semplificare il sistema fiscale italiano. Tuttavia, le prime reazioni del mondo produttivo sollevano dubbi significativi sulla sua efficacia. Resta, infatti, un divario sproporzionato con sistemi fiscali più equi come quello degli Stati Uniti d’America.

Quindi, nonostante le intenzioni dichiarate, la misura è criticabile. L’applicazione di un’aliquota del 43%, su redditi relativamente bassi, come quelli appena superiori ai 50.000 euro che devono fronteggiare anche gli effetti dell’inflazione e del suo “fiscal drag” che negli ultimi tre anni ha inciso per il 20%, è un fattore che favorisce l’evasione fiscale, innescando una pericolosa spirale di successivi aumenti delle imposte per compensare le minori entrate.

«L’intera operazione dunque risultainutile“, sottolineando come, di fatto, non si realizzi una reale alleggerimento del carico fiscale. La questione non è tanto ridurre il numero degli scaglioni, quanto piuttosto la necessità di ampliarli, per decomprimere la pressione fiscale, che grava pesantemente sulle famiglie e sulle imprese» spiega Salustri.

Per comprendere meglio la portata di queste critiche, è utile confrontare il sistema italiano con quello di altri Paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il sistema fiscale personale (l’equivalente dell’Irpef italica) è strutturato in maniera molto diversa. Per il 2025, le aliquote americane presentano ben sette scaglioni, con una percentuale massima del 37% che si applica solo a redditi che superano soglie ben più elevate di quelle italiane: oltre 626.350 dollari per i singoli e oltre 751.600 dollari per le coppie con dichiarazione congiunta.

«Questa netta differenza fa riflettere: come è possibile che negli Stati Uniti l’aliquota più alta sia ampiamente inferiore a quella italiana e si applichi a redditi di sei o sette volte superiori ai nostri? Negli Usa si è compreso da tempo che, per incentivare investimenti e far emergere i redditi, sia fondamentale decomprimere gli scaglioni fiscali. Questo non solo rende la tassazione personale più equa, ma riduce drasticamente la probabilità di tentativi di evasione fiscale. Sollecitiamo – dice Salustri – da tempo una revisione fiscale strutturale, non cosmetica, al fine di rendere gli scaglioni coerenti con la capacità contributiva reale».

Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie di “Dario d’Italia”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata. 

Telegram

https://t.me/diarioditalia

Linkedin

https://www.linkedin.com/company/diarioditalia

Facebook

https://www.facebook.com/diarioditalia

© Riproduzione Riservata