La spesa effettiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si ferma al 21,9% del totale, se si escludono i crediti d’imposta come Superbonus e Transizione 4.0. Al 31 dicembre 2024, risultano spesi 63,9 miliardi, pari al 32,9% dell’intero Piano, ma solo 42 miliardi corrispondono a spesa “reale” su progetti operativi. Il 70% delle misure ha un avanzamento finanziario inferiore al 25% delle risorse assegnate, e il 45% addirittura sotto il 10%. In particolare, le missioni “Inclusione e coesione” e “Salute” risultano ancora molto indietro, con spese inferiori a un quinto delle dotazioni disponibili.
La denuncia arriva dal Centro studi Unimpresa, secondo cui tra le performance peggiori, il settore dei trasporti ha raggiunto appena il 13% dei target previsti, mentre le misure per la sostenibilità ambientale non superano il 9% di realizzazione. La Corte dei conti sottolinea che, al netto degli ostacoli di cassa (coperti dalle anticipazioni di liquidità), i ritardi sono riconducibili a criticità procedurali, lentezze amministrative e difficoltà operative. Per completare il Pnrr entro i termini, sarà necessario triplicare i ritmi di spesa del triennio precedente: oltre 65 miliardi annui nei prossimi 12 mesi, contro una media storica di 19,5 miliardi.
«Il Pnrr italiano sta attraversando una fase critica. Nonostante gli annunci ottimistici, le difficoltà sono reali e strutturali. Non basta aver ottenuto l’approvazione delle riforme o aver trasferito risorse agli enti attuatori: la sfida vera è l’attuazione concreta. E, su questo fronte, i numeri parlano chiaro: troppi progetti in ritardo, troppi fondi ancora inutilizzati, troppa distanza tra le previsioni e la realtà – commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Manlio La Duca -. Se non si interviene subito – con task force operative, semplificazioni vere, monitoraggio stringente e responsabilizzazione dei soggetti attuatori – il rischio non è solo quello di perdere fondi europei, ma di perdere una chance storica di modernizzazione. E questa sarebbe, davvero, la sconfitta più grave».
Secondo il Centro studi Unimpresa, che ha rielaborato dati della Corte dei conti, il Pnrr italiano continua a scontare un nodo strutturale: le risorse ci sono, ma non vengono spese. A fine 2024, l’Italia ha speso 63,9 miliardi di euro, pari al 32,9% delle risorse complessive del Piano. Un dato che può apparire incoraggiante, ma che in realtà nasconde più ombre che luci. Perché rispetto alla programmazione finanziaria rivista, siamo sotto di oltre il 25%. E soprattutto, se si guarda ai prossimi 12 mesi, sarà necessario triplicare i ritmi di spesa per non perdere i fondi europei. A gonfiare le cifre della spesa è soprattutto il contributo dei crediti d’imposta – in particolare quelli legati al Superbonus 110% e alla Transizione 4.0 – che funzionano in modo retroattivo e automatico. Se si escludono questi strumenti, la spesa reale per progetti nuovi, cantieri, digitalizzazione, servizi pubblici e coesione sociale scende al 21,9% del totale, ben lontana dalla soglia di sicurezza. È come se buona parte del Pnrr fosse solo una partita di giro contabile, senza reale impatto sulla trasformazione strutturale del Paese.
Ancora più allarmante è il dato disaggregato: il 70% delle misure del Pnrr ha speso meno del 25% dei fondi assegnati. E addirittura il 45% è sotto il 10%. Significa che su dieci progetti finanziati dal Pnrr, sette non sono ancora entrati nella fase operativa. Una paralisi che non si spiega con problemi di cassa – le anticipazioni statali coprono l’87% della spesa già effettuata –, ma con ritardi nei bandi, nei progetti esecutivi, nei procedimenti autorizzativi. In una parola: con la lentezza dell’apparato amministrativo.
Alcuni settori appaiono particolarmente indietro. Il comparto dei trasporti del ministro Matteo Salvini ha raggiunto appena il 13% dei target fissati, complice la natura strutturalmente complessa degli interventi: linee ferroviarie, nodi metropolitani, impianti portuali richiedono tempi lunghi e competenze elevate. Allo stesso modo, il settore della sostenibilità ambientale del ministro Gilberto Pichetto Fratin registra un tasso di avanzamento che non supera il 9%. Si tratta di impianti di gestione dei rifiuti, infrastrutture idriche, progetti di riforestazione e rinaturazione: tutti ambiti cruciali per la transizione ecologica, ma spesso bloccati da ritardi normativi e carenze tecniche.
«L’aspetto più preoccupante è che il tempo sta per finire. Il Pnrr si conclude formalmente a metà 2026, ma i progetti vanno rendicontati e completati con largo anticipo per evitare il disimpegno automatico delle risorse europee. Per rispettare la scadenza servirà un’accelerazione senza precedenti: almeno 65 miliardi di euro l’anno, contro una media storica di 20 miliardi. Uno sforzo immane per una macchina amministrativa che, fin qui, ha dimostrato limiti evidenti nella capacità di spesa» spiega La Duca.
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