Rapporto annuale Istat: Italia paese sempre più vecchio e in rallentamento

Gli ultra ottantenni sono più dei bambini. Giù la produttività e i salari reali. E gli italiani tagliano su cure e prevenzione. Aumenta il rischio povertà al 23,1% della popolazione.

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Rapporto annuale Ista

Un Paese più vecchio, con sì più occupati, ma con salari reali che non hanno ancora recuperato la fiammata inflazionistica, mentre il rischio povertà aumenta: il Rapporto annuale dell’Istat fotografa un’Italia più istruita e occupata, ma con la produttività in calo e con forti rischi di ricambio generazionale nelle imprese.

La popolazione invecchia rapidamente, mentre le nascite sono al minimo storico con appena 370.000 neonati nel 2024 mentre gli ultraottantenni, che sfiorano quota 4,6 milioni, superano i bambini under 10. Le retribuzioni contrattuali reali recuperano una parte di quanto perso con l’inflazione, ma a fine 2024 risultano ancora inferiori del 10,5% rispetto a quelle dell’inizio del 2019. Se si guarda alle retribuzioni di fatto (quelle che tengono conto anche dei contratti integrativi e del cambiamento di composizione dell’occupazione), la perdita però si limita al 4,4%.

Se si guarda al reddito da lavoro in generale (compresa l’occupazione indipendente) e si allarga lo sguardo agli ultimi 20 anni il singolo occupato ha perso il 7,3% del potere d’acquisto, ma nonostante questo calo tra il 2004 e il 2024 il reddito familiare equivalente «è aumentato del 6,3%, grazie: ai cambiamenti demografici, in particolare la riduzione della quota delle famiglie con figli; all’aumento del numero di componenti occupati; alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione».

In pratica il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto ma quello delle famiglie è cresciuto grazie al fatto che in molti casi è entrato in casa un secondo stipendio e che la famiglia è meno numerosa. Il lavoro è cresciuto ma la produttività media si è ridotta. La crescita infatti si è concentrata nei settori a bassa intensità di capitale e alta intensità di lavoro quali il turismo e la ristorazione.

L’aumento degli occupati è consistente anche se in rallentamento rispetto a quanto accaduto nel 2023. Nel 2024 si è registrata una crescita di 352.000 occupati, per l’80% concentrata tra gli over 50. Questo è il risultato non solo della tendenza demografica che ha portato le coorti più numerose a superare questa soglia, ma anche della stretta sul pensionamento anticipato che ha trattenuto al lavoro la fascia più anziana. Inoltre si è spostato in avanti l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani grazie all’aumento degli anni medi di istruzione anche se l’Italia resta ancora indietro rispetto ai più grandi Paesi europei.

Secondo il Rapporto annuale Istat quasi un quarto della popolazione (il 23,1%) è a rischio di povertà o esclusione sociale (redditi inferiori al 60% di quello mediano, deprivazione materiale o bassa intensità lavorativa), percentuale in lieve aumento (+0,3 punti) sul 2023. Un dato che nel Sud raggiunge il 39,8% con quasi 4 persone su dieci con un rischio di disagio economico. Il rischio in media sale per gli individui che vivono in famiglie nel quale il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni. Sono a rischio soprattutto le famiglie dove sono stranieri e quelle nelle quali c’è stato lo scioglimento di un’unione o un decesso.

Le difficoltà economiche si ripercuotono poi sulla salute: nel 2024 un italiano su 10 (il 9,9%) ha riferito di avere rinunciato a fare visite o esami specialistici, dato in aumento rispetto al 7,5% del 2023. L’Istat sottolinea che «le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale».

C’è comunque un «netto miglioramento» dei conti pubblici con la discesa dell’indebitamento netto dal 7,2% al 3,4% del Pil e un debito cresciuto di sette decimi al 135,3%, meno di quanto stimato dal Piano strutturale di bilancio e Commissione europea, per la spesa per interessi (2 decimi) e la ridotta crescita del Pil.

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