Preoccupa la diffusione del calabrone orientale (Vespa orientalis), insetto autoctono che fino a pochi anni fa viveva in perfetto equilibrio ambientale con le api, diventato ora una vera e propria specie aliena, tanto che l’impollinazione è a rischio. La Vespa orientalis è diventata aggressiva, invasiva e famelica, tanto da aver distrutto fino a 40.000 alveari in Lazio, Molise e Campania, con un’espansione non si ferma a queste tre regioni del Centro Sud visto che da tempo viene avvistato in Friuli Venezia Giulia, Marche, Liguria, Toscana e Sardegna, prediligendo per ora la costa tirrenica a quella adriatica e le città.
A Roma la scorsa estate le incursioni del calabrone mangia-api hanno distrutto gli alveari realizzati sulla terrazza del ministero dell’Agricoltura. Alveari che sono stati poi ripristinati. Complici le temperature più calde dei centri urbani, ma anche la facilità di trovare fonti di cibo, come i mercati alimentari o i rifiuti che si trovano all’aperto, il calabrone prolifica.
A lanciare l’allarme è il segretario generale di Miele in Cooperativa, associazione nazionale alla quale aderiscono le principali associazioni di apicoltori delle tre regioni colpite, Riccardo Terriaca. Al momento mancano ancora, si sottolinea, strategie e tecniche mirate a contenere questo insetto velenoso che può arrivare a 3 centimetri di lunghezza.
«È un’ennesima calamità a fronte alla quale siamo disarmati, non essendo disponibili strumenti e tecniche di contrasto alle aggressioni» afferma Terriaca, secondo cui è indispensabile che il mondo della ricerca impegni risorse umane e finanziare per studiare il problema con un approccio pragmatico per dare delle risposte anche per tutelare l’impollinazione a rischio.
La Vespa orientalis è una sorta di “specie aliena in patria” e gli esperti ammettono che al momento c’è poco da fare. «Contrariamente alla “Vespa velutina” sulla quale c’è una direttiva Europea e un progetto dedicato del Crea, non abbiamo strumenti e tecniche di contrasto specifiche – spiega Laura Bortolotti, prima ricercatrice del Crea Agricoltura Ambiente -. Il problema è che essendo una specie autoctona fino ad ora non è stato possibile inserirla in una lista nera e proprio per questo siamo in contatto con l’Ispra per mettere a punto una strategia per combatterla».
Gli apicoltori possono difendersi solo con protezioni da mettere sull’entrata degli alveari, si va da delle trappole ad esca alle arpe elettriche, dispositivi costituiti da un telaio che tiene tesi dei fili elettrici scoperti, su cui passa corrente a bassa tensione che stordisce l’insetto; vengono posizionati con una distanza tale che lasciano indenni le api.
L’insetto ha un ciclo di vita che va dalla primavera all’autunno sempre più inoltrato proprio per le temperature miti ed è in grado di cibarsi perfino delle api in volo, oltre a fare razzia all’interno degli alveari, distruggendoli. Danni che si manifestano con elevata mortalità delle api, ma anche con un diffuso indebolimento degli alveari e dunque riduzione della produzione di miele e maggiori costi da sostenere per curare gli alveari indeboliti, con le cosiddette nutrizioni di soccorso. E con meno api in circolazione pure l’impollinazione delle piante è a rischio, con probabili riduzione sulla produzione alimentare.
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