Primo caso di contagio umano da influenza aviaria in Europa individuato in Inghilterra centrale, nella regione delle West Midlands, ed ha riguardato una persona a stretto contatto con volatili infetti di un allevamento. Fino ad oggi, in Europa non era stato registrato alcun caso o decesso umano da virus aviari. Il rischio per l’uomo tuttavia, rassicurano le autorità sanitarie, rimane basso e non si ha ad oggi evidenza di una trasmissione da uomo a uomo.
Il virus A-H5N1 sta mettendo in ginocchio numerosi allevamenti avicoli in Europa e anche in Italia, ed i danni economici sono ingenti, come ha ricordato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, al Consiglio Ue Agrifish.
Contro la diffusione dell’influenza aviaria l’Italia sta «investendo importanti risorse sul miglioramento della biosicurezza e sulla divulgazione delle buone pratiche per evitare la diffusione del virus tra gli allevamenti. Servono però – ha affermato Lollobrigida – risorse per indennizzare gli allevatori danneggiati dal blocco delle attività produttive e dal deprezzamento dei prodotti che non trovano più gli stessi sbocchi nel mercato».
Per questo Lollobrigida ha annunciato di aver notificato alla Commissione europea «la richiesta di attivazione delle misure previste dal regolamento dell’organizzazione comune dei mercati per utilizzare i fondi della Riserva agricola».
Dal 2003 al 2023, secondo i dati dell’Oms, sono stati segnalati a livello globale da 23 Paesi un totale di 882 casi umani di infezione da influenza aviaria A-H5N1, di cui 461 decessi. Il primo caso di contagio umano in Europa è stato confermato dalle autorità sanitarie britanniche. «La persona che ha contratto l’infezione» lavorava in una fattoria «ed è stata a contatto con un vasto numero» di polli contagiati in un allevamento, ha precisato la UK Health and Security Agency (Ukhsa), assicurando che il rischio di una diffusione pubblica più ampia «continua a essere molto basso».
Il paziente è stato ricoverato, ma è in via di guarigione, fa sapere la Ukhsa. «Il rischio di una diffusione dell’influenza aviaria nel grande pubblico resta molto basso nonostante questo caso confermato», ha ribadito ai media britannici Susan Hopkins, responsabile medico dell’Ukhsa, ricordando come non ci sia evidenza finora nella letteratura medico-scientifica di alcun caso di contagio da uomo a uomo, ma solo (e in rare circostanze di stretto contatto) da animale a uomo.
Il livello di allerta sull’aviaria è alto anche negli Stati Uniti: dall’inizio della nuova epidemia, nel 2022, sono stati interessati quasi 650 allevamenti di aziende avicole per un totale di circa 130 milioni di volatili. Colpiti anche vari allevamenti di mucche. Allerta pure per gli animali da compagnia, specie gatti e cani. La Food and Drug Administration ha invitato i produttori di alimenti per cani e gatti, che utilizzano materie prime crude o non pastorizzate derivate da pollame o bovini, a rinnovare i piani di sicurezza alimentare.
Anche in Italia, l’influenza aviaria sta minacciando numerosi allevamenti: l’ultimo focolaio è stato accertato a gennaio in provincia di Verona in un allevamento di 800.000 galline ovaiole. L’episodio porta a 18 il numero di focolai sul territorio italiano dall’inizio dell’anno e a 53 dall’inizio della stagione influenzale, a ottobre: 23 in Veneto, 22 in Lombardia, 6 in Emilia Romagna, 2 in Friuli Venezia Giulia.
Mentre si alza il livello di monitoraggio negli allevamenti, Hera, braccio operativo della Commissione europea, ha firmato di recente un contratto con la società farmaceutica inglese Seqirus per la fornitura di 665.000 dosi di vaccino a uso umano contro la trasmissione dell’influenza aviaria. I vaccini sono destinati alle persone più esposte al rischio di trasmissione, in primo luogo chi lavora in allevamenti avicoli e i veterinari, mentre l’opportunità dell’adozione di un vaccino per gli animali appare al momento una soluzione complessa da mettere in atto.
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